Tutto il latte del Mondo
Ognuna di noi, quando diventa madre, porta appresso la sua storia personale di bambina, ragazza ed infine di donna. Quella storia è scritta sul nostro corpo, sulla nostra mente e ci seguirà nel percorso di maternità. Neve ha quasi due anni: mangia di tutto, corre e sta creando i primi legami importanti nel mondo esterno alla famiglia. Il tempo in cui era neonata è sufficientemente lontano perché io possa raccontarvi la mia storia. La maternità ha inizio con sogni e desideri che, prima o poi, dovranno scontrarsi con la realtà: diventare madri significa anche rinunciare al controllo, accettare che tutto non può andare come vorremmo, come l’avevamo pianificato. Pensavo che in gravidanza sarei riuscita a portare avanti il mio lavoro fino all’ultimo e che non sarei ingrassata oltre i dieci chili; e invece la stanchezza mi ha ammantato fin dal primo mese di attesa. Non avevo più l’energia esplosiva che da sempre mi contraddistingue. Ero debole. Il mio corpo, la mia bambina, mi chiedevano di rallentare ed io l’ho fatto. Sono ingrassata 21 chili, di cui 13 li ho persi immediatamente dopo il parto e gli ultimi 4/5 li sto perdendo adesso, a distanza di due anni.
Ero terrorizzata dal parto. Ho prenotato l’epidurale e pensavo non avrei potuto farne a meno. Invece ho partorito naturalmente in sole cinque ore, senza essere sfiorata da nessuno, facendo tutto da sola. Pensavo avrei avuto tanto latte. “In fondo che ci vuole ad allattare?”, pensavo. Tieni attaccata la tua bimba al seno fin dal primo momento in cui nasce e poi la natura fa il suo corso, no? D’altronde ogni donna è programmata per avere il latte, proprio come gli animali femmina di ogni specie. Ed invece, dopo tre giorni dal parto, la diagnosi della prima visita pediatrica è stata per me dolorosissima: sottopeso della bimba, ipogalattia della mamma. Ad ogni poppata aggiungere 30 ml di latte. Sono scoppiata a piangere: al corso pre-parto ci avevano detto che dare l’aggiunta al proprio bambino significava impigrirlo. “Se proprio dovete dare l’aggiunta”, ci dicevano, “usate il contagocce”. Siamo tornati a casa e ci siamo rivolti ad un centro allattamento. Hanno controllato che Neve si attaccasse correttamente al mio seno -si attaccava correttamente-, mi hanno spiegato alcune posizioni in cui allattare comodamente e mi hanno consigliato di integrare l’allattamento con l’aggiunta di 30 ml finché non cominciava la montata lattea. Ma la montata lattea non arrivava. In compenso hanno cominciato ad arrivare i consigli indesiderati: “non darle assolutamente l’aggiunta, si impigrisce e dopo perderete il “viaggio dell’allattamento””. “Lasciala strillare finché non ti esce il latte dai capezzoli”. “Tienila attaccata il più possibile, anche 10 volte al giorno”. Facevo sessioni d’allattamento da un’ora l’una e dopo un’altra ora ricominciavo. Ero devastata dal parto e dalla stanchezza. E Neve, affamata, non smetteva mai di piangere.
Poi c’è stato l’incontro con la nostra pediatra: “Tienila attaccata al seno 20 minuti e poi offrile un’aggiunta da 90 ml. Se mangia tutto vuole dire che non aveva ricevuto abbastanza”. E così, dopo un mese di disperazione e senso di colpa, Neve ha iniziato a crescere di peso e a dormire. La tenevo attaccata al seno tutti i giorni, ogni volta che le davo l’aggiunta, ma non è mai arrivato tanto latte da poterla nutrire in maniera esclusiva al seno. Da quando sono diventata madre ho ricevuto tantissima solidarietà e comprensione da parte delle donne. E non è forse questa la forma più alta di femminismo? Essere solidali fra di noi, non giudicarci, non puntare il dito, ma essere capaci di reciproco ascolto.
Purtroppo ci sono state anche le eccezioni, quelle in cui non ho percepito alcuna solidarietà, ma mi sono invece sentita orribilmente giudicata nella mia fragilità. Le conversazioni più sgradevoli sono quasi sempre accadute per strada, fulminee e per questo violente, perché mi hanno sempre lasciato addosso la sensazione di non essere riuscita a difendermi adeguatamente. “La allatti al seno, vero?”; e alla mia risposta che purtroppo di latte non ne avevo avuto abbastanza, seguivano le diagnosi impietose: “d’altronde è faticoso allattare, non è per tutti”; “quando si offre l’aggiunta è difficile tornare indietro: il bambino si impigrisce”; “si vede che si attaccava male”; “tutte noi donne siamo programmate per avere il latte, si vede che c’era qualche problema nel tuo modo di allattarla”. Ma io ero sicura che Neve non si era attaccata male e io desideravo ardentemente allattarla al seno, il problema non era stata la fatica, ma che avevo davvero poco latte. Eppure non mi abbandonava uno strisciante senso di colpa, perché quando sei madre ti sembra sempre di non aver mai fatto abbastanza e che avresti sempre potuto fare di più. Quando Neve ha compiuto sei mesi, ho cominciato a svezzarla e, gradualmente, è finito l’allattamento.
Purtroppo qualche volta, ancora oggi, si ripropongono quelle conversazioni sgradevoli in mezzo alla strada: “io la allatto ancora e tu?”; e quando mi metto a spiegare il nostro excursus di nuovo tornano quelle sgradite diagnosi. Ieri, esausta e arrabbiata per l’ennesima conversazione fuori luogo, ho dunque fatto una ricerca sull’ipogalattia. Esiste o è una leggenda metropolitana? Ho quindi scoperto che l’ipogalattia permanente esiste eccome, anche se abbraccia solo uno sfortunato 5% di donne. In cui, purtroppo, a quanto pare rientro. Ho scoperto che l’ipogalattia permanente può essere causata da cinque possibili fattori. Su cinque fattori, ho constatato di averne ben due: allora non ero pigra e nemmeno la mia bambina lo era; allora il mio istinto aveva avuto ragione: il latte era davvero poco ed insistere avrebbe causato solo incredibile sofferenza in me e nella mia bambina. Cosa sarebbe accaduto se avessi avuto meno sicurezza in me stessa (e nella mia bambina) e avessi continuato ad affamare Neve per portare avanti il mio progetto di allattare in maniera esclusiva al seno? Care donne, care madri, non piegatevi alle vostre aspettative precedenti alla maternità e, specialmente, alle diagnosi estemporanee di persone che non conoscono la vostra storia e il vostro bambino. Nemmeno tutto il latte del mondo basta per essere madri “sufficientemente buone”. Il mio seno era vuoto ma il mio cuore era pieno di amore e credo che questo sia molto più importante quando si diventa madri, ma anche quando si diventa davvero donne che hanno rispetto delle altre donne.
Immagini tratte da “Il grande libro dei pisolini” di Giovanna Zoboli e Simona Mulazzani, Topipittori.