Illustrazione di Amin Hassanzadeh Sharif

Illustrazione di Amin Hassanzadeh Sharif

E’ difficile tornare a scrivere dopo tutto quello che c’è stato nel mezzo. Non che vi sia stato qualcosa di nuovo: siamo un popolo in guerra, lo siamo sempre stati, anche se al mattino usciamo e portiamo i nostri bambini a scuola, facciamo la spesa, andiamo al cinema, passeggiamo per le vie del centro. La guerra in corso viene raramente percepita ma esiste. Fiumi di parole sono stati spesi negli ultimi giorni. Parole sensate ma anche parole che non hanno portato a nulla di sensato.

Non aggiungo altre parole all’evento di Parigi, ma porto una riflessione di fondo, che mi anima da ben prima degli accadimenti degli ultimi giorni: siamo un unico popolo sotto un’unica bandiera che si chiama “razza umana”. Con questo non voglio sminuire il giusto attaccamento alla nostra cultura, al nostro territorio, alle nostre tradizioni. Chi mi legge e mi conosce sa quanto io stessa abbia a cuore l’acqua, la terra, la lingua, i costumi che hanno affiancato e che affiancano, come amici fedeli, il mio percorso di vita. Ma nell’umanità, per lo meno per chi quest’umanità la possiede ancora, siamo tutti uguali, sia che il nostro palato evochi le proprie radici nel koresh gormeh sabzi o nella sfoglia tirata a mano, o che il nostro occhio si incanti per le terrazze di Isfahan o per Piazza San Francesco. A volte poi, da un incontro, nasce una duplice nazionalità, un sentire moltiplicato per due. Credo che un popolo non dovrebbe essere giudicato per intero da un testo religioso, e che non dovrebbe essere nemmeno oggetto di discussione se questo testo sia portatore di un messaggio pacifico o battagliero. Quando ero bambina rimasi sconvolta, durante una delle rare lezioni di catechismo, da un padre che, nel nostro testo sacro di riferimento nazionale, veniva costretto dal suo Dio a dare in sacrificio il proprio unico figlio. Da adulta capii che un testo religioso non dovrebbe essere letto da un punto di vista realistico, ma simbolico, proprio come facciamo con una fiaba o un mito. Chi legge un unico testo per tutta la propria vita, chi ragiona in termini di “fedeli” ed “infedeli”, chi pensa che solo perché è nato in un posto ha quindi una misteriosa precedenza su altri esseri umani -precedenza data da un diritto di nascita, come nel medioevo-, è portatore di una mentalità retrograda ed incivile, che spero possa essere prima o poi superata. 

Albero Azzurro - AminProseguo quindi con la mia missione quotidiana, che è legata al futuro dei bambini e delle loro famiglie. Al momento non conosco strumento migliore di rivoluzione sociale che quello di crescere bambini autonomi, felici e liberi pensatori. Perché credo che alla base delle più grandi patologie vi siano tanti bambini infelici, che non hanno avuto la possibilità di affrancarsi da un passato a sua volta pieno di infelicità e soprusi. Il terrorismo e le dittature nascono da singole patologie che si uniscono e fanno gruppo; non da una religione, da un’etnia, da un credo politico, come ho spesso sentito ripetere -ingenuamente- negli ultimi giorni.

Illustrazione di Amin Hassanzadeh Sharif

Illustrazione di Amin Hassanzadeh Sharif

Cito Alice Miller da “La fiducia tradita. Violenze e ipocrisie dell’educazione”: “Perché il mostro Adolf Hitler , assassino di milioni di persone, il campione del massacro e della follia organizzata, non è venuto al mondo come mostro. Non è stato inviato su questa terra dal demonio, come i più pensano, né è stato spedito dal cielo per “mettere ordine” in Germania, costruire autostrade e sollevare il Paese dalla crisi economica, come taluni ancora oggi pensano. Non è nemmeno venuto al mondo con “istinti distruttivi innati” perché questi non esistono. La nostra missione biologica consiste nel conservare la vita, non nel distruggerla. La propensione alla distruzione non è mai originariamente insita nell’individuo, le tendenze ereditarie non sono né “buone”, né “cattive”. Il modo in cui si esplicano dipende dal carattere che si forma nel corso della vita e la cui specie è determinata dalle esperienze individuali, soprattutto nell’infanzia e nella giovinezza, e dalle più tarde scelte dell’adulto. Hitler è venuto al mondo innocente, come ogni altro bambino. Ha ricevuto dai suoi genitori -come molti altri bambini di quei tempi- un’educazione distruttiva, e più tardi è stato egli stesso a fare di sé un mostro. Era un sopravvissuto al meccanismo d’annientamento al quale, nella Germania sul volgere del secolo, si dava nome di “educazione” e che io definisco il campo di concentramento segreto, riservato ai bambini, quello che si vorrebbe che non fosse mai scoperto. 

Illustrazione di Amin Hassanzadeh Sharif

Illustrazione di Amin Hassanzadeh Sharif

La settimana prossima, presso Burattinificio, avrà luogo la prima conferenza del ciclo “Grandi Speranze: un percorso all’interno delle aspettative genitoriali”.

Giovedì 26 novembre ore 21 presso Burattinificio, via G. P. Martini 26 a Bologna

Bambino immaginato e bambino reale

Il bambino a confronto con le aspettative dei genitori

La conferenza sarà a cura di Emanuela Dozza (www.emanueladozza.it), pedagogista clinico. L’ingresso è a numero chiuso e per prenotarsi bisogna chiamarmi al 3465871003. Il costro per la partecipazione è di 10 € + 1 € per la tessera di Burattinifinicio. Il mese scorso io stessa ho curato una conferenza presso la Biblioteca Villa Spada nella quale introducevo il tema del dibattito. Chi si fosse perso il mio intervento può riascoltarlo qui:

Buon fine settimana a tutti voi! 

2 commenti
  1. claudia preto dice:

    salve,
    e’ proprio cosi’ l’educazione e’ la base di tutto.
    sono interessata alle varie conferenze.
    se mi mandi le date delle prossime
    grazie e felice tutto
    claudia preto

I commenti sono chiusi.