Dalla vigilia di Natale all’ultimo giorno dell’anno: questo, per me, è un periodo magico. Un periodo di passaggio fra due epoche. Alla mezzanotte del 31 dicembre cerco di cogliere quella frazione di secondo in bilico fra il passato e il futuro. In questi giorni ripenso a ciò che è stato negli anni, alle persone che ho perso, a quelle che non ci sono più, a quelle che non ho più voluto nella mia vita e alle persone che ci sono adesso, nel qui ed ora. Poi scompongo l’anno e lo guardo, come dall’alto di una montagna.
Da gennaio a maggio per me non ci sono stati che i bimbi del BurattiNido. Hanno portato nella mia vita freschezza, gioia, fatica, canzoni, avventura e una quantità spropositata di affetto.
Da giugno a settembre è stato il momento della progettazione: a parte qualche spettacolo ho letto, disegnato, creato, scritto e anche sofferto. E’ stata l’afosa estate di “Stranger Things”, in pantaloncini corti sul divano di Dido a guardare gli anni ottanta sul piccolo schermo. E poi Bologna ad agosto, le finestre spalancate sui cortili e il rumore dei telegiornali che inonda la strada. Tanto erano stati pieni, traboccanti, i mesi invernali/primaverili con i BurattiNidini, tanto i mesi estivi sono stati pacati e pieni di un vuoto che avevo la responsabilità di riempire con pensieri ed azioni. E’ stato in quel momento che ho capito che forse non sarò mai una madre; ho fatto la pace con questo pensiero che mi seguiva, spettrale, da due anni. Mi stringeva, macabro, insieme alle tante frasi fuori luogo dette da quelle donne che madri lo sono già e, in virtù di questa investitura da parte di Madre Natura, pensano di aver sempre qualcosa da insegnare alle donne che non lo sono. Ho compreso che la genitorialità è un percorso privato e soggettivo, nel quale entra profondamente in gioco “chi” eravamo prima di diventarlo. Quel “chi” è l’unica costante della nostra vita; ed è da lì che ho ricominciato. Sono un essere umano e poi una donna. Sono sospesa, come tutti noi, fra l’Orrore e lo Splendore di questa Esistenza.
Da ottobre a dicembre è stato il periodo in cui Burattinificio ha ripreso ad essere ciò per cui è stato creato: un tunnel delle meraviglie, una fabbrica di sogni. E’ da qui che nasce il mio concetto di Arte: anche con pochi mezzi si può creare un sogno. Una stanza di 20 mq, in un condominio in cui quasi nessuno sorride, può trasformarsi in un non luogo, in un “oltre”. Per farlo è necessario saper vedere al di là, capacità tipica dei bambini, non perché i bambini siano magici, ma semplicemente perché sono appena arrivati su questo mondo. Non hanno padronanza della realtà e, dove incontrano una domanda, spesso vi rispondono con il sogno. Il sogno è anche illusione. Un’illusione che ha il merito di accendere, anche solo per un istante, la fiamma del nostro cuore. E’ “la festa del cielo” narrata da Miyazaki, quando da bambino scappò con la sua famiglia dai bombardamenti. E’ il camion dell’uomo dei palloncini narrato dalle parole di Giovanna Zoboli e dalle illustrazioni di Simone Rea. E’ lo studio cinematografico di Melies, un Palazzo di vetro nel quale invitava i suoi spettatori perché sognassero con lui: “come and dream with me”.
I bambini hanno bisogno di credere alla Magia e crederci non è che costi loro sforzo. Sono appena sbarcati sulla Luna, tutto è nuovo, tutto è luccicante, tutto porta nuove domande. Ad esempio le domande che sottintende “L’uomo dei Palloncini“: “…Cosa succede dentro al camioncino delle caramelle nei giorni in cui non è festa? (…)E dove abitano, quei due? Come sarà la loro casa? Di meringa? Come fanno a essere sempre gentili? Sembra davvero che vogliano bene ai bambini e sappiano benissimo quello che vogliono, ogni bambino del mondo.” Erano le stesse domande che mi ponevo nel Teatro San Leonardo o quando andavo al cinema. Che fine avranno fatto E.T. ed Eliot? E se un giorno E.T. arrivasse a casa mia? Dove lo nasconderei, a chi potrei parlarne? Riuscirò anch’io a costruire una navicella come quella di Explorers e a volare fra le nuvole e poi ancora più su, fin nello spazio? Un bambino ha necessità di indugiare in questo territorio dell’immaginazione. Questo Splendore porterà altro Splendore, sarà il motore per riuscire a vedere al di là della Realtà, sarà l’impulso che porterà il bambino del Domani a seminare alberi in una landa desolata, a sorridere quando c’è spazio solo per il pianto, a trovare lo Splendore laddove sembra rimasto solo Orrore.
Ho compreso che lo Splendore non necessità di tante spiegazioni. Non deve necessariamente essere intelligibile. Lo Splendore, quando è carico di Mistero, è ancora più luccicante. Per anni ho ripensato a quel bambino che riusciva a trattenere tanto a lungo il respiro sott’acqua e che girava in lungo e in largo un mondo sommerso post apocalisse cercando una bambina di nome Lana. Erano gli anni ottanta, a volte si vedeva una cosa per televisione e poi la si rivedeva chissà quando. Chiedevo agli adulti: “quando ci sarà di nuovo quel cartone?”. Spalancavano le braccia “chissà, forse domani”. Allora andavo in giardino e ripensavo a quel bambino: come faceva a restare così a lungo sott’acqua? Era questione di allenamento? Forse per questo ancora oggi, quando sono al mare, l’apnea è il mio gioco preferito. Conto, apro gli occhi nell’acqua e immagino città sommerse. Le storie, anche quando non risultano del tutto comprensibili ed immediate, offrono un tesoro ai bambini che le ascoltano. E’ con questo sentire che ho creato lo spettacolo “La fiaba della Regina della Neve”, che forse non è risultato lineare a tutti i bimbi che lo hanno ascoltato, ma che spero abbia lasciato una scia di magico incomprensibile che resterà incastrata da qualche parte nel loro ricordo d’infanzia.
“I maghi non esistono”. L’illusionista protagonista dell’omonimo film di Chomet, prima di andarsene, lascia queste poche parole su un biglietto rivolto alla ragazzina di cui si è preso cura fino a quel momento. La vita lo ha umiliato, lo ha piegato, lo ha costretto a rinunciare al sogno e alla magia in nome di quella ragazzina. Prima di andarsene le dice la verità. E, sul treno che lo porta via, compie un atto di distacco definitivo dalla propria magia: potrebbe far credere ad una bambina che la sua matita si è di un tratto allungata. Non lo fa. Ha smesso di pensare che possa essere utile far credere ai bambini che la magia esiste. Ma Chomet non la pensa così. E’ per questo che, nella stanza vuota che l’illusionista ha appena abbandonato, un’ombra creata dal vento e dalle pagine di un libro rimasto sul tavolo, crea una strana forma sul muro: di quale creatura si tratta? La magia continua ad esistere, anche quando smettiamo di crederci. Fa parte della vita, che lo vogliamo o no.
Buon inizio e buona fine, la magia vi aspetta a Burattinificio nel 2017.
Per restare aggiornati sui prossimi spettacoli a Burattinificio potete scrivere via whatsapp a Margherita al 346/5871003.
Mia cara i tuoi scritti mi rapiscono.
Buona fine e buon inizio.
Emanuela
Cara Emanuela, grazie per le tue parole che mi danno sempre molto coraggio. Buona fine e buon inizio anche a te. Ti abbraccio. Margherita
Questa che ho letto è l’unica forma di educazione che conosco: il sogno.
Nei tuoi scritti l’arte sostituisce la matematica.
Riconsegni dignità ai bambini, in forma di palloncino.
Tu, Margherita, sei una storica dell’infanzia.
Sei tu l’uomo dei palloncini, mio caro bimbo cocomero.