Quando sarai madre (capirai)
Questa volta scrivo quasi a metà settimana. Non alla fine, non all’inizio, come sono solita fare. Ogni tanto è bello rompere gli schemi e rallentare. Nader dice che come tutte le donne sono “cosmetica e severa” ma a me piace dimostrargli che non sempre ha ragione. La settimana scorsa c’è stato il solito trambusto pre-halloween: tanti spettacoli, fra cui la prima delle quattro narrazioni che farò presso la Biblioteca Villa Spada. La fiaba che ho raccontato, “Piuma d’oro”, è anche il titolo della conferenza che terrò a Burattinificio giovedì 19 novembre alle ore 21, in cui introdurrò il filo conduttore -le aspettative genitoriali- delle quattro conferenze successive.
Perché una burattinaia, anziché limitarsi a fare spettacoli e raccontare fiabe, si interessa alla pedagogia? Perché una burattinaia decide a un certo punto di iscriversi a scienze della formazione e pensa che valga la pena di imparare qualcosa sul bambino? Perché credo che la pedagogia dovrebbe essere argomento di studio e di approfondimento per chiunque venga a contatto con i bambini: bidelli, animatori, allenatori sportivi ma anche e specialmente i familiari stessi del bambino.
Io non sono ancora mamma. Ci sono tanti motivi per i quali non lo sono ancora: il primo è che ho incontrato mio marito, l’amore della mia vita, quando avevo 30 anni. A quel tempo non ero pronta a diventare mamma. Ero pronta ad essere una moglie, una compagna, un’amante, un’amica, ma non una mamma. Ci sono voluti quattro anni perché mi sentissi pronta. Mio marito era pronto da tempo ma, poiché mi ama e mi rispetta, mi ha supportata ed è stato al mio fianco in questo percorso -così come io credo di essere stata al suo-. In questi anni siamo cresciuti come persone e come coppia. Quando sono stata pronta, il bimbo ha deciso di fare il divo e lo sta facendo tuttora. Noi lo aspettiamo, senza fretta, siamo pronti ad accoglierlo quando deciderà di arrivare. Nel frattempo continuiamo a crescere, come individui e come coppia. Non ho mai pensato che diventare madre fosse un’esperienza legata unicamente all’istinto. Gli studi universitari hanno avvalorato la mia teoria. Eppure tante donne/mamme, quando vogliono chiudere una discussione, utilizzano una frase che credo qualsiasi donna, senza figli, si sia sentita dire almeno una volta nella vita: “ne riparliamo quando sarai mamma…”.
Non credo che diventare mamma possa snaturare il carattere di una persona. Penso che la maternità sia un’esperienza privata, soggettiva e che possa acutizzare aspetti del proprio carattere: pregi, difetti, rigidità. Acutizzare, non cambiare. La maternità può essere uno specchio impietoso: ci mette a contatto con la parte più profonda, più intima di noi stesse. Ovviamente c’è una componente biologica, istintiva, ma è il substrato culturale che determina le scelte educative. Anni fa il mio amico Davide, mentre studiavo nido, mi regalò il libro “Di madre in peggio” di Valeria Cornelio e Tonci Violi. Un dono provocatorio, così come è provocatorio, crudele, ironico, il tono stesso del libro. Ogni racconto prende in giro una tipologia di mamma: la mamma hippie, la “mater promoter”, la mamma che pensa solo alla cacca, alla pappa, alla tetta e così via… Ogni donna porta nell’esperienza di maternità il proprio vissuto, quindi le proprie paure, le proprie convinzioni e, ahimè, i propri personali orrori.
Diventare mamma -ma anche diventare papà!- dovrebbe essere una scelta che poggia le sue fondamenta non solo sull’innatismo di questa esperienza ma anche e specialmente sulla consapevolezza di sè. Penso sia importante che un genitore compia una riflessione su se stesso e sulle scelte che mette in atto con il proprio bambino. Un tempo i bambini venivano picchiati a scuola e in casa. Oggi ci sembra assurdo, inumano. Eppure, finché qualcuno non ha messo in discussione questa prassi, ciò veniva ritenuto normale. Noi stessi potremmo ritenere normali certe prassi poiché le abbiamo subite quando eravamo bambini. Occorre grande coraggio per mettere in discussione se stessi, le proprie abitudini, le proprie convinzioni. Sono convinta che per un figlio ne valga la pena. Colui che compie un percorso di messa in discussione di se stesso e di miglioramento personale per il benessere del proprio bambino è un rivoluzionario: sta facendo un dono incommensurabile non solo a suo figlio ma anche alla società.
Anni fa uscì un film bellissimo: si chiamava “The Hours” e parlava di donne. Donne omosessuali, donne mamme, donne scrittrici. Ma non contava il loro ruolo sociale. Erano semplicemente donne, legate l’una all’altra da un filo conduttore che non aveva a che fare con la maternità o con il lavoro che facevano, ma con la loro componente umana ed esistenziale. Per questo trovo la frase “quando sarai mamma…-capirai-” assurda: essere mamma non è solo un’esperienza fisica/pratica, ma anche spirituale. Io non ero una mamma fino a due anni fa. Adesso non lo sono ancora, ma per certi versi lo sono già, anche se non ho un bambino. E come me, molte altre donne, a cui dedico questo articolo.