Microcosmi e Grandi Mondi
Ultimo giorno di marzo. Oggi pomeriggio sarò alla Biblioteca di Villa Spada a raccontare fiabe “sui varchi magici”. Molte fiabe raccontano il cammino dell’eroe “oltre” la soglia magica. Le porte magiche possono essere un cavolfiore (e da qui trae il nome questo blog), uno specchio, un mazzo di cicoria, un armadio… Io e Nader, anni fa, avevamo scritto a quattro mani una fiaba che si chiamava “Turisti per casa”, in cui i protagonisti, attraversando varchi magici disseminati per la loro casa, si materializzavano per diversi luoghi della loro città. La casa/cortile, la casa che non finisce entro le proprie quattro mura ma si espande e prende parte alla grande festa della Metropoli che la circonda e che la inghiotte.
Il quartiere risale il fiume, ma allora non avevamo tempo per guardarlo. D’estate ritorna un torrente. Porta con sé la strada, e la strada entra dalle finestre aperte nelle case al piano terra. Era tutto un dentro e fuori dalle nostre stanze, a ogni commissione, e ogni scusa era buona: ufficialmente non dovevamo uscire, ma pestavamo sempre quel grappolo di vie. I bambini si sentivano arrivare dietro gli angoli prima di vederli, si riconoscevano dal suono del passo, come di castagnole, sui ciottoli.
(Nader Ghazvinizadeh, “I Cosmonauti”, 2015, Edizioni Pendragon, Bologna)
Oggi pomeriggio vado quindi a raccontare di Michele, che attraversa la Garfagnana, sale la montagna e si cala nell’ultima di sette buche, in fondo alla quale vive l’Orco con lo penne. Poi narrerò di Maria Rosa e di come, cadendo in fondo ad un pozzo per recuperare una conocchia, si ritrovò nel mondo della Signora Jolanda.
In questi giorni di pausa pasquale, in cui sia io che i miei bimbi del BurattiNido ci riposiamo, penso dunque a nuovi varchi magici da inserire nel Burattinificio di via Martini. Quadri e specchi da appendere al soffitto, orti nascosti nella tana di un topolino, cucine rimpiattate in un cantuccino. BurattiNido, alla fine di maggio, terminerà il suo primo anno di vita. Alessandro, Irene e Lorenzo sono cresciuti, cresciuti così tanto che a volte, riguardando le foto di settembre scorso, resto a bocca aperta. I miei tre pupini sono quasi pronti per spiccare il balzo della tigre verso la Scuola dell’Infanzia. Anche se quest’anno non è ancora finito e abbiamo ancora tanti progetti da concludere (ad esempo l’Orto nel nostro Giardino Segreto), comincio già a pensare a Settembre, quando comincerà un nuovo BurattiNido, con altri tre bimbi, con cui intraprenderemo una nuova avventura all’interno del Burattinificio. Le iscrizioni per il 2016/17 sono già aperte e se qualcuno fosse interessato a visitare Burattinificio e a prendere informazioni può contattarmi al 3465871003.
Con la primavera è terminato anche il Ciclo di conferenze di “Grandi Speranze”. L’ultima conferenza ha avuto come tema le aspettative -più o meno consce- che spesso guidano un genitore nella scelta di un libro per il proprio bimbo. Abbiamo parlato del libro ma possiamo allargare quest’aspettativa, come abbiamo rimarcato anche nelle conferenze precedenti, alla scelta di un laboratorio, di uno spettacolo, di un giocattolo. La speranza da parte dell’adulto è che la propria scelta possa risultare utile allo sviluppo del bimbo: che lo renda più “intelligente”, più colto, più intraprendente. Il libro -o il laboratorio, o lo spettacolo, ecc..-, così utilizzato, rischia così di diventa un “mezzo” attraverso cui raggiungere il nostro fine, ad esempio spiegare al bimbo determinate emozioni. Il libro, così utilizzato, è uno strumento di propaganda, e perde il senso profondo del proprio esistere. Il senso dell’esistenza di un libro è prima di tutto quello di “…essere letto con piacere e nella sua complessità per non perdere il gioco della trama e il gusto del coinvolgimento negli avvenimenti e dell’immedesimazione con alcuni personaggi; finché questo percorso non è stato completato qualsiasi intervento non può che danneggiare il piacere della lettura. Lavorare su un testo letterario, o con esso per costruire percorsi didattici alternativi, sarà tanto più stimolante, interessante e, perché no, anche piacevole se quel testo è già conosciuto ed apprezzato”. (Gianna Marrone, “Storia e generi della letteratura dell’infanzia”, 2002, Armando Editore)
Proprio per questo motivo non creo mai copioni ad hoc per insegnare determinati concetti. Le storie sono per loro natura portatrici di concetti: ci sono storie insignificanti e storie potenti. Le storie potenti non hanno bisogno di troppe spiegazioni, sono per loro natura capolavori (è il caso appunto del nostro ricchissimo repertorio popolare rivisto dal nostro Calvino) e nutrono l’emotività dei bambini più di qualsiasi fiaba creata apposta per far imparare concetti quali la generosità, la fratellanza, l’accettazione del diverso, ecc… Le fiabe non porgono ricette pronte al consumo, come fanno invece diversi libri che tentano di offrire veloci soluzioni ai problemi della quotidianità. Le fiabe offrono, attraverso un linguaggio metaforico, la complessità dell’esistenza umana. Una storia deve esistere prima di tutto per il semplice gusto di ascoltarla e condividerla. Ciò che segue quell’ascolto e quella condivisione è del tutto soggettivo. I grandi classici, i capolavori, hanno certo il potere di cambiare ed illuminare la vita di alcuni ma quel potere è del tutto soggettivo: altri sono restati del tutto indifferenti di fronte a quell’incontro letterario e non hanno saputo cogliere il potenziale che la letteratura offriva loro. Questa differenza dipende dall’educazione emotiva, che non può essere pianificata, ma vissuta, SENTITA. Il bambino sviluppa la propria emotività attraverso le relazioni con le persone a lui più vicine nella primissima infanzia. Non è certo l’approccio didattico ad un testo che potrà quindi modificare questa emotività.