Gian Burrasca
E’ stata una settimana bellissima. Nei giorni passati ho lavorato dalla mattina alla sera per il Burattinido. Adesso è come se il Burattinificio fosse diviso in due strati, uno verso le radici, l’altro verso i rami. A terra ci sono tappeti, legno, cuscini rossi e giochi che di volta in volta cambieranno. In cielo ci scrutano i volti dei burattini, dei pupazzi, delle marionette.
Mentre lavoravo ascoltavo “Ad alta voce”, la bella trasmissione di Radio3 in cui grandi attori leggono grandi classici. Ho riascoltato “Il Giornalino di Gian Burrasca”, letto da Piero Baldini. Le voci di alcuni di questi attori sono entrate così profondamente nel mio immaginario che mi sembra di conoscerli: Maria Paiato, Paola Pitagora, Iaia Forte. Le parole sul loro palato prendono forma, colore, gusto. Ascoltare le letture ad alta voce è come mangiare qualcosa di buono. Nutrono la bambina che sono stata, la donna che sono e la burattinaia/cantafiabe che è in me. Mentre Piero Baldini leggeva, tornavano vividi i ricordi di ventotto anni fa, in una classe luminosa, immersa in uno dei parchi della mia città: i Giardini Margherita. Ricordo quando quella formidabile maestra, la Renza, ci leggeva le avventure di Giannino e i miei compagni ridevano di gusto.
In quel momento il treno si era fermato, e dal finestrino ho visto che un altro treno era fermo di faccia a noi, per lo scambio, a pochissima distanza, tanto che, spenzolandomi fuori, forse avrei potuto toccare la faccia dei viaggiatori che vi stavano affacciati. È stato allora che m’è venuta un’idea terribile.
– Se avessi uno schizzetto! – ho pensato.
Mentre pensavo a questo, lo sguardo si è fermato sulla palla di gomma che era nella mia valigia rimasta aperta, e allora ho detto fra me:
– E perché non potrei fabbricarmelo?
E cavato di tasca il temperino ho fatto un buco nella palla; poi ho preso tre bottigliette d’inchiostro dalla cassetta del signor Clodoveo, e sono andato nella ritirata, dove, stappate le boccette, ho versato il contenuto nella catinella allungandolo con l’acqua. Fatto questo ho sgonfiato la palla, e immersala nella catinella l’ho riempita… Quando son tornato nello scompartimento il treno di faccia si moveva e i viaggiatori eran tutti affacciati… Non ho fatto altro che sporgere un po’ le braccia fuori del mio finestrino e stringere gradatamente la palla tra le mani, col foro rivolto in avanti…
Ah, che emozione! Che effetto! Che divertimento!…
Campassi mill’anni non riderò mai quanto ho riso in quel momento nel vedere tutti quei visi affacciati, che da principio avevano una grande espressione di stupore e poi subito di rabbia, spenzolarsi fuori in mezzo alle braccia che mi tendevano i pugni chiusi, mentre il treno si allontanava…
Mi ricordo perfettamente di uno che ebbe uno schizzo d’inchiostro in un occhio, e che pareva diventato pazzo e ruggiva come una tigre…
Se lo incontrassi lo riconoscerei… ma forse è meglio che non lo incontri più!
Giannino Stoppani è uno dei miei personaggi preferiti. Il libro di Vamba è una divertente satira sulle ipocrisie e incoerenze del mondo adulto. Le sorelle di Giannino sono maritate con un avvocato socialista ed un medico. La mala sanità del Dottor Collalto va’ di pari passo all’ingiustizia sociale perpetrata dall’avvocato Maralli. Giannino, con diabolico candore, smaschera una ad una quelle incoerenze. Il padre lo spedisce in Collegio, patria della Pedagogia Nera; qui, i ragazzi vengono rieducati a furia di frustate, minacce e minestre cucinate con il compost. Questo romanzo è il ritratto comico, ancora oggi attuale, di un’ Italietta di provincialismi e miserie che, inevitabilmente, ricadono sulla pedagogia. Come dice Giannino “i ragazzi si devono correggere senza adoperare il bastone, che può straziare la carne ma non può cancellare l’idea”. L’educazione autoritaria è tutt’altro che andata persa ma, ultimamente, il dibattito si concentra maggiormente sull’incapacità di dare regole da parte di una nuova generazione di genitori (risale a quest’estate un articolo molto condiviso su fb “Quei piccoli fascisti“, che inquadra in maniera comica, superficiale e in parte veritiera un fenomeno educativo in espansione). Ho spesso assistito a scene di violenza perpetrate dagli adulti nei confronti dei figli. La peggiore è stata l’anno scorso, nel parcheggio di un supermercato, quando ho visto un padre schiaffeggiare brutalmente la sua bambina. Gli adulti che utilizzano la violenza, la usano per sfogarsi. Il fine educativo è inesistente. Il sopruso non educa, genera frustrazione ed altra violenza. “Il Giornalino di Gian Burrasca” non è un’opera psicologica, le angherie degli adulti risultano divertenti quanto le monellerie di Giannino, la cui capacità distruttiva è così ricca da apparire creativa e dalle “risorse misteriose”, come dice il Maralli dopo che Giannino pesca un dente dalla bocca di suo Zio Venanzio.
Domani le mamme e tre bei pupetti verranno a Burattinificio per cominciare l’inserimento: Burattinido parte! Ed io sono molto contenta perché ho sempre desiderato integrare la burattinologia con il lavoro di dada. Dico “dada” perché “educatrice” la trovo una parola severa, preferisco definirmi “bambinaia”, “dada” o anche “zia”, come ha detto Alessandro, il simpatico duenne in visita a Burattinificio ieri mattina.
E così questa settimana il nostro giorno sul Delta scala dal lunedì al martedì e stasera qui in casa si mangia pizza Mangiafoco, preparata dalla vostra Burattinaia. Tengo le finestre aperte, dal cortile arrivano le voci della televisione e l’odore di sugo al pomodoro.
Buona fine e buon inizio settimana anche a voi in questa domenica sera di fine estate.