La Drammaturgia della Mano #2

 

 

Questo articolo è il seguito del post La Drammaturgia della Mano #1

NELLA MANO C’E’ UN BURATTINO

Nel 2011, dopo due anni che avevo abbandonato i burattini e narravo fiabe con i pupazzi, mi ha contattata Stefano Giunchi, direttore artistico del Festival “Arrivano dal Mare” e promotore del corso “Il Mestiere del Burattinaio”, corso che avevo seguito quasi dieci anni prima a Cervia. Stefano mi ha informato che, da lì a poco, si sarebbe svolto a Gambettola, nella nuova sede di “Arrivano dal Mare”, lo stage “Nella mano c’è un burattino”, “masterclass di specializzazione all’uso delle guarattelle e dei burattini “radicali””, rivolto a burattinai, attori, educatori, insegnanti e studenti. Il Conduttore e docente era Gaspare Nasuto, guaratellaro/burattinaio.

Conoscevo di vista Gaspare da diversi anni, poiché nel 2006 avevo assistito al suo spettacolo a quattro mani con Luca Ronga. Ero rimasta impressionata dalla bravura di Gaspare e da diversi anni desideravo frequentare un laboratorio con lui. Lo stage durava 4 settimane, dalle 9 alle 18, dal lunedì al venerdì. Ero spaventata all’idea di fermarmi per un mese: significava rinunciare ad una serie di impegni di lavoro e stare lontana da mio marito -ci eravamo sposati solo l’anno prima!-. Mio marito Nader, in quell’occasione come in numerose altre, mi ha sostenuto e incoraggiato. E così sono partita per Gambettola. Gaspare era affiancato da Linda Di Giacomo, burattinaia che aveva frequentato nel mio stesso anno il corso “Il Mestiere del Burattinaio”. Linda si occupava della parte del lavoro di laboratorio legato alla sartoria. Gaspare, invece, ci ha insegnato a progettare e scolpire la testa del nostro burattino. Ai tempi della scuola di “Arrivano dal Mare” avevo già fatto due corsi di scultura del legno con il maestro Natale Panaro: un corso riguardava la scultura della testa del burattino, un altro la scultura degli animali con la mandibola mobile. Le teste che scolpimmo con il maestro Panaro erano di notevoli dimensioni (il cubo di legno dal quale si inizia a scolpire misurava 22 cm x 16/17 cm), come quelle usate dai burattinai tradizionali bolognesi Presini e Mandrioli. Le teste dei burattini dei burattinai tradizionali erano così grosse per poter essere visibili anche al pubblico seduto lontano dal teatro dei burattini. Il teatro dei burattini, prima dell’avvento della televisione nelle case, era infatti un intrattenimento popolare che richiamava grande pubblico (composto non solo da bambini, ma specialmente da adulti!), così grande da riempire anche un’intera piazza. Le teste di burattino scolpite da Gaspare erano invece di dimensioni assai più ridotte (il cubo di legno da cui iniziavamo a scolpire misurava 8×15 cm). I burattini tradizionali della mia regione, penso ad esempio a quelli di Presini, erano molto statici. Il perno attorno al quale girava lo spettacolo era il dialogo fra i burattini, che svettavano in scena enormi e magnifici. Nulla di paragonabile alle danze sfrenate in cui si lanciavano i burattini dei guarattellari. Ciò che mi colpì quando vidi per la prima volta Pulcinella fu il RITMO dei movimenti dei burattini, al servizio di una trama semplicissima ma carica di significati archetipici. Il dialogo era ridotto all’osso e sostituito dal movimento dei burattini, proprio come in un cortometraggio di Charlie Chaplin o nei film espressionisti degli anni venti, in cui il lavoro mimico dell’attore va a sostituirsi alla parola. La leggerezza dei burattini è quindi indispensabile in questo tipo di teatro: le mani sono le vere protagoniste dello spettacolo. “Nella mano c’è un burattino”, un burattino che esiste ancor prima che il burattino venga indossato. In quei giorni di masterclass con Gaspare ascoltavo “La Rapadopa”, primo album del rapper dj Gruff. Mentre l’ascoltavo pensavo che le guaratelle sono “il rap dei burattini”, in cui i movimenti delle mani diventano sequenze ritmate di versi. 

IL “CODICE” 

Nonostante, fin dall’inizio dei miei studi burattinologici, fossi colpita dalle guarattelle, non mi ha mai sfiorato l’idea di poterle fare; perché, come dice lo stesso Gaspare, per approcciarsi alla guarattella è necessario essere in possesso di un “codice”. Che cos’è il “codice”? Il “codice” è l’appartenenza viscerale ad una terra e ad una cultura. I burattini traggono massima potenza da questa appartenenza. Laddove questa appartenenza è mimata, i burattini perdono potenza e diventano spaventapasseri in scena. Ho compreso che per raccontare una storia con i burattini dovevo dunque cercare il mio “codice”, che non era certo quello campano, sebbene le mie origini siano in parte casertane. Anche il rap (quello “vero”) nasce da una padronanza del proprio “epos”; come dice mio marito Nader, che prima di essere un poeta è stato un rapper, “il rap è il telegiornale del proprio quartiere”. I burattini, come il rap, sono il racconto di un territorio e dei suoi abitanti: le loro storie parlano di fame (fame del ventre e dell’anima), di soprusi, di pulsioni, di paure, di gioie. I burattini cantano le gesta di un popolo altrimenti mai raccontato, il popolo di una strada, una strada che cambia faccia a seconda del territorio in cui si trova e della gente che la popola. Il mio popolo è stato quello che ho conosciuto a Medicina, un paese in provincia di Bologna. Lì vivevano i miei nonni, negli anni ottanta, in una casa felliniana; una casa fatta di tante stanze, tanti pertugi e perfino di segreti giardini pensili. Di fronte a questa casa labirintica c’era perfino un cinema, che svettava a pochi metri dalle nostre finestre. A pochi passi c’era anche il Bar “La Tazza d’oro”, punto di ritrovo delle serate di Paese, la Casa del Popolo, la Biblioteca Comunale, il Parco dei Pasi, a lato del quale c’era una tettoia affacciata sul canale in cui le donne, un tempo, lavavano i panni. In quella casa misteriosa, in cui c’era perfino un locale caldaie, proprio come ne “La città incantata” di Mijazaky, una casa a metà fra dimensione pubblica e dimensione familiare, ho maturato il mio “codice”, la mia appartenenza profonda ad un popolo a metà fra la Bassa, l’entroterra romagnolo e Bologna. Oggi quel mondo non esiste più. E’ semplicemente scomparso e non mi resta che raccontarlo nelle mie fiabe, in cui le “nonne” sono le protagoniste al fianco dei bambini. Le nonne di oggi, 2016, sono nate negli anni cinquanta, dopo la guerra, e hanno vissuto le contestazioni degli anni sessanta. Le nonne che ho conosciuto io, da bambina, erano della generazione degli anni venti. Avevano vissuto la guerra e c’era in loro la memoria di un mondo che stava andando sepolto. La sapienza della cucina, del biascicare in dialetto frasi incomprensibili, delle nenie per calmare noi bambini, del lavoro manuale che aveva piegato precocemente le loro schiene. I burattini tradizionali, quei freaks privi di grazia che avevo conosciuto da bambina, riprendevano parte di quel mondo, ma per quello che avevo visto, lo incupivano e imbruttivano. Mancava quel senso di mistero, di magia, di poesia che avevo respirato nell’epos della mia infanzia. I burattini di Gaspare, rispetto ai giganteschi burattini tradizionali, si adattavano molto meglio a quanto speravo di riuscire a realizzare.

GASPARE NASUTO e LINDA DI GIACOMO

Durante il corso di Gaspare, affidandomi completamente ai suoi insegnamenti, progettai due burattini: la Lucia e la Strega “Renata Zero”. La mia manualità non è certo eccellente ma nonostante ciò riuscii, grazie all’aiuto di Gaspare, ad ottenere due bei burattini che ancora oggi viaggiano nella mia valigia d’attore. Gaspare ama la sua arte e trasmette pienamente la sua passione: la cura con la quale, in laboratorio, maneggia i “ferri del mestiere”, è la stessa che traspare durante i suoi spettacoli (per vedere un estratto di uno spettacolo di Gaspare: CLICK QUI). Consiglio a qualsiasi aspirante burattinaio che desideri approcciarsi con il necessario ed indispensabile amore che richiede questo mestiere (in cui, diciamo la verità, non si guadagna una cicca e si fa una fatica boia) di iscriversi ad uno dei masterclass di Gaspare (per info: La Domus di Pulcinella). Gli spettacoli di Gaspare, pur mantenendo il “codice” della guarattella classica, se ne distaccano e creano collegamenti “a balzo di tigre nel passato” : è il caso di “Guarattelle da tre soldi”, tratto dal “L’opera da tre soldi” di Brecht o di “Pulcinella e Zampalesta nella terra dei fuochi”, esempio in cui la tradizione riesce ad affrontare temi sociali senza scadere nella retorica. Passiamo invece a Linda. Linda, come già detto, è stata mia compagna di corso a Cervia. Prima del corso lavorava in ufficio e faceva teatro a livello amatoriale; nel 2002 decise, coraggiosamente, di mollare tutto e cambiare strada per dedicarsi ai burattini. L’anno di Cervia non fu semplice per nessuno di noi corsisti. Cervia, d’inverno, è un luogo spettrale e malinconico. Tutti noi eravamo lontani dalla famiglia e dagli amici e traevamo coraggio dalla passione per quello che stavamo facendo. Hanno frequentato “Arrivano dal mare” anche diversi burattinai dei quali parlerò nei prossimi articoli e che, velocemente, cito: Riccardo Canestrari e Giovanna Rossetti (Zanubrio Marionettes), Manuela Mapelli (oggi illustratrice, il suo ultimo lavoro è l’albo illustrato “Casa Casina”), Massimiliano Venturi (Teatro dell’Aglio), Arianna  Di Pietro (che ha fondato con Emanuela Petralli la compagnia “Officine Duende“), Stefania Rosignuolo (che ha fondato con Sandra Pagliarani la “Compagnia Nasinsù”), Valentina Paolini (“Teatrino a due Pollici“), Angelo Aiello (“Compagnia Aiello“), Luca RongaBrina Babini, Paolo Rech ( “Compagnia Bambabambin“). Linda, oggi burattinaia e direttrice artistica del Gran Teatro dei Piccoli, è una veneta verace. Linda, come me, ha un immaginario fortemente legato al fantastico, ma anche alle tradizioni della sua terra d’origine. Siamo entrambe cresciute ascoltando “I Raccontastorie” e i “C’era una volta”, fiabe e filastrocche narrate dai migliori attori italiani (Paolo Poli, Ottavia Piccolo, Lucia Poli, Oreste Lionello, ecc) ed illustrate da artisti di tutto il mondo. Il teatro di Linda è quindi non solo teatro dei burattini tradizionale, ma anche una fusione fra fiaba e commedia dell’arte. Linda utilizza i burattini veneti (Arlecchino, Brighella, Colombina) e, spesso, li trasferisce all’interno di celebri trame fiabesche come “Il Gatto con gli stivali” e “Raperonzolo”. Linda ha una grande manualità: costruisce i suoi burattini in legno e pasta di legno, cuce i loro camiciotti (grazie a lei ho perfezionato i miei camiciotti) e costruisce pupazzi in gommapiuma, anche su commissione; è un’ottima disegnatrice e questa abilità nel disegno è visibile non solo nel suo lavoro con i burattini ma anche in quello di face and body painting. Nella mia visione del mestiere del burattinaio Linda, come Gaspare, è una persona professionalmente completa: disegna, costruisce, scrive, recita. Linda e Gaspare hanno quindi avuto un’influenza molto importante sul mio lavoro. Dal 2011 ad oggi ho continuato a lavorare con i pupazzi a cui, lentamente, ho iniziato ad accostare i burattini. Ho seguitato ad usare i burattini costruiti da Don Dante Baldazzi, nonostante non rispecchiassero il mio ideale estetico e ho cercato, scartavetrandoli e ridisegnando il volto, di renderli più simili al mio gusto. Attendevo un incontro con uno scultore, che preferivo non fosse dell’ambiente “teatro di figura” che mi affiancasse nel lavoro di costruzione della mia nuova muta di burattini. Mi era infatti chiaro che, se avessi dovuto scolpire da sola le mie teste di burattino, avrei impiegato moltissimo tempo e il risultato, non avendo piena padronanza della tecnica di scultura del legno, sarebbe stato probabilmente inferiore a ciò che volevo ottenere. Ho quindi continuato a lavorare sulla parte drammaturgica delle mie storie, delineando così il carattere e il volto dei miei personaggi. E poi, dal nulla, è saltato fuori Marco, quello che sarebbe diventato il “mio scultore”. 

Ne parlerò nella prossima puntata de La Drammaturgia della Mano #3

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